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Si può essere ancora dimenticati? Una breve analisi sul diritto all’oblio

Immagine del redattore: Leonardo BrnelicLeonardo Brnelic

1. Dal desiderio di essere ricordati a quello di essere cancellati 

L’oblio, un processo naturale consistente nell’inevitabile perdita di memoria dell’essere umano, causato dall’instancabile trascorrere del tempo, è stato a lungo ritenuto come un difetto, una pecca legata alla natura imperfetta dell’uomo, cui bisognava porre rimedio.

Essere dimenticati in epoca classica era visto come la peggiore delle condanne, una sentenza definitiva che trascendeva il timore stesso della morte. Non a caso nella Repubblica romana la damnatio memoriae era considerata una delle pene più severe che potevano venire inflitte dal Senato, consistente, in breve, nel totale annichilimento di un individuo, al punto da comportare la cancellazione del suo nome da tutte le iscrizioni e dai registri pubblici, nonché l’eliminazione di ogni raffigurazione del condannato, facendolo disperdere nell’etere. come se non fosse mai esistito. Oggi la situazione è radicalmente cambiata, al punto da poter essere definita antitetica rispetto a quella sopra descritta.

Con l’avvento di internet e della big data economy e, di riflesso, con l’esponenziale aumento della capacità di conservazione - in via potenzialmente indefinita - dei dati personali, ricordare è divenuto la norma e dimenticare l’eccezione.Alla luce di ciò, pare evidente il perché la privacy abbia assunto un valore preminente nei sistemi giuridici più avanzati, divenendo un coacervo di diritti e rimedi tra loro differenti, avente “tanti significati quante sono le teste di Idra” – con le parole di Zimmerman – e tendente a un unico scopo, ossia l’esercizio di una qualche forma di controllo sui propri dati personali.

Tra le molteplici espressioni della privacy una ha assunto un particolare rilievo negli ultimi decenni, al punto da mettere in discussione, in alcuni casi, l’assoluta supremazia del diritto alla libertà di espressione di cui all’art. 21 Cost., ossia il diritto all’oblio (Right to be forgotten).

 


2. L’evoluzione del diritto all’oblio

L’oblio consiste sostanzialmente nella pretesa di cancellare di pezzi del proprio io ed è la più pura espressione della dicotomia dell’animo umano, che da un lato aspira all’immortalità e, dall’altro, ha il terrore di lasciare tracce negative del suo trascorso.

Questo concetto giuridico di origine squisitamente giurisprudenziale vide la luce nel nostro ordinamento prima dell’avvento di internet come lo conosciamo oggi e, sostanzialmente, venne definito dalla Cassazione – con la sentenza 3679/1998 – come il diritto di un individuo a non essere esposto ai danni alla reputazione e all’onore derivanti dalla reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata. Dunque, il “diritto all’oblio” era già ab origine un vassallo dei diritti della personalità ricompresi tutelati dall’art. 2 Cost., segnatamente del diritto all’immagine e alla riservatezza, ma veniva costretto in un ambito di applicazione di nicchia.

Con la sentenza 5525/2012, in un contesto socio-economico nuovo e spiazzante, in cui l’informatica e la cibernetica predominavano su qualsiasi altra scienza, la Suprema Corte, pronunciandosi su un caso riguardante la permanenza negli archivi digitali di una testata giornalistica – facilmente accessibili dal web – di notizie lesive della personalità di un individuo, sancì il principio per cui spetta all’interessato la tutela della “proiezione dinamica” dei propri dati personali, nonché della propria identità personale o morale, sussistendo in ogni momento il diritto a conoscere “chi possiede i dati e le relative modalità di utilizzo con la possibilità di opporsi al trattamento degli stessi ovvero di chiederne la cancellazione, la trasformazione, il blocco, la rettifica, l’aggiornamento o l’integrazione”, in conformità con il dettato normativo del D.Lgs. 196/2003, c.d. Codice privacy.

Questa interpretazione giurisprudenziale diede vita alla fase embrionale di ciò che, nel giro di pochi anni, sarebbe divenuto il diritto all’oblio come lo intendiamo oggi, ossia il diritto dell’interessato ad esercitare un controllo diretto sui propri dati personali mediante la loro cancellazione.


 

3. Cenni sulla sentenza Google Spain

La pietra miliare dell’accezione contemporanea del diritto all’oblio, sulla scorta di quanto già assodato dalla giurisprudenza negli anni precedenti, è la nota sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, c.d. Google Spain, afferente alla causa C-131/12, in occasione della quale vide la luce ciò che oggi risulta essere l’espressione per antonomasia del diritto all’oblio, ossia lo strumento della c.d. deindicizzazione, il quale va tenuto nettamente distinto dal diritto alla cancellazione dei dati personali, trattandosi di un espediente che consente solamente la cessazione della correlazione diretta tra il nome della persona lesa e le informazioni lesive ad essa associate circolanti in rete, con la conseguente perdita di tali dati nei meandri infiniti della rete.

La Corte di giustizia europea, pronunciandosi sulla controversia, riconobbe il significativo impatto dell’operato dei motori di ricerca sulla privacy degli utenti di internet – in quanto agevolano in maniera esponenziale il recupero dei dati personali presenti in rete – e ritenne sempre prevalenti sull’interesse economico del motore di ricerca i diritti alla vita privata e alla protezione dei dati personali, dando adito all’impostazione antropocentrica che da allora in avanti è sempre stata la stella polare delle istituzioni europee in materia di tutela dei dati personali. Pertanto, si attribuì la qualifica di “responsabile del trattamento” ai gestori dei motori di ricerca e venne statuita in capo a questi una forma di responsabilità distinta ed indipendente rispetto a quella dei gestori delle pagine web in cui sono effettivamente contenuti i dati personali oggetto di contestazione. Questo doppio binario fa si che, ad oggi, sia possibile tutelarsi sia mediante un’istanza di deindicizzazione delle informazioni lesive presentata ai gestori dei motori di ricerca, che esigendo direttamente la cancellazione dei propri dati – ai sensi dell’art. 17 GDPR di cui si dirà successivamente – ad opera titolare del trattamento in senso proprio ossia, ad esempio, il gestore della pagina web su cui sono contenuti i nostri dati.


 

4. Il diritto all’oblio nella sua concezione contemporanea, l’art. 17 del GDPR

La più recente concezione del diritto all’oblio è dovuta all’art. 17 del GDPR, rubricato “diritto alla cancellazione (diritto all’oblio)”, che risulta essere il primo riferimento normativo esplicito dedicato alla regolamentazione, seppur parziale, del diritto ad essere dimenticati.

Tale norma, sostanzialmente, conferisce all’interessato – previa la sussistenza di uno o più requisiti tassativamente determinati – il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano, il tutto senza ingiustificato ritardo. Tale cancellazione potrà essere richiesta qualora: (i) i dati non risultino più necessari rispetto al fine per cui sono stati raccolti o trattati; (ii) l’interessato revochi il consenso su cui si basa il trattamento conformemente agli artt. 6, par. 1, lett. a), e 9, par. 2, lett. a), del GDPR; (iii) l’interessato si opponga al trattamento ai sensi dell’art. 21, par. 1, del GDPR e non sussista alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento, oppure si opponga ai sensi dell’art. 21, par. 2, del GDPR; (iv) i dati personali siano stati trattati illecitamente.

Il titolare del trattamento sarà obbligato, dinnanzi alla richiesta di cancellazione presentata dall’interessato conformemente all’art. 17, par. 1, del GDPR, a cancellare i dati oggetto della richiesta tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione e adottando in tal senso delle misure ragionevoli per informare gli altri titolari del trattamento che, per le più svariate ragioni, sono in possesso di e stanno trattando a loro volta tali dati. Tuttavia, il «diritto all’oblio» soccomberà ogniqualvolta, ai sensi dell’art. 17, par. 3, del GDPR, il trattamento dei dati sia necessario: (i) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione; (ii) per l’adempimento di un obbligo legale previsto dall’Unione o da uno Stato membro o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o nell’esercizio dei pubblici poteri; (iii) per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica; (iv) ai fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici; (v) per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.

Il diritto alla deindicizzazione, invece, non è mai stato ricompreso all’interno dell’art. 17 del GDPR; tuttavia, la sua sussistenza e operatività è sempre stata ribadita dalla giurisprudenza, sia nazionale che comunitaria, essendo questo ormai uno strumento imprescindibile e largamente impiegato.


 

5. Conclusioni

  L’oblio è oggi uno strumento ampiamente utilizzato e dalle grandi potenzialità che, purtroppo, risulta essere  ancora una spada smussata rispetto all’immensa mole di dati personali circolanti in rete. Difficilmente potremo esercitare veramente un controllo pieno su tutti i nostri dati, essendo quasi impossibile individuare tutti i soggetti che posseggono e utilizzano a qualunque titolo tali informazioni; tuttavia, possiamo promuovere un utilizzo consapevole di internet e dei dispositivi ad esso connessi per cercare di prevenire a monte la divulgazione di informazioni che potrebbero cagionarci dei danni irrimediabili in quanto, anche se apparentemente dimenticate, essendo conservate in un posto etereo e dalla memoria perfetta, rimarranno sempre delle minacce latenti, pronte a essere rievocate da chiunque in qualsiasi momento e da cui, in extremis potremo tutelarci in via giudiziale e stragiudiziale impiegando gli strumenti di cui si è parlato in questo breve elaborato.

 


 


Bibliografia

  • Cass. Civ. Sez. III, 9 aprile 1998, n. 3679, in Jstor.

  • Cass. Civ. Sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525, in Il Foro italiano.

  • Cass. Civ., Sez. Un., 22 luglio 2019, n. 19681, in One Legale.

  • Cass. Civ., Sez. I, 8 febbraio 2022, n. 3952, in One Legale.

  • CGUE, Grande Sezione, 24 settembre 2019, n. 507, in One Legale.

  • Dati relativi alle richieste di deindicizzazione: https://transparencyreport.google.com/?hl=en.

  • Leenheer, Zimmerman, D., False Light Invasion of Privacy: The Light that Failed, in New York University Law Review, 1989, p. 364.

  • Mayer, Schonberger, V., Delete: Il diritto all’oblio nell’era digitale, EGEA, 2016, p. 7.

  • Sirotti Gaudenzi, A., Diritto all’oblio: responsabilità e risarcimento del danno, Maggioli editore, 2017, p. 11.


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