Self-driving cars: il quadro giuridico attuale in Italia e in Europa
- Francesca Sancineti
- 7 giorni fa
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1. Introduzione
Le macchine a guida autonoma, driverless cars o self-driving cars in inglese, rappresentano un tema di grande attualità e interesse: da un lato queste innovazioni delineano un grande traguardo nel panorama tecnologico; sul piano giuridico però non si può dire lo stesso. L’utilizzo di queste nuove tecnologie sembra aprire nuove sfide per il diritto, soprattutto se si considera che la disciplina in materia prevede che sia un conducente umano a guidare un’automobile.
Se sul suolo americano l’utilizzo di driverless cars è ormai diventato abituale, del resto non è raro trovare video di taxi del tutto privi di conducente, come i robotaxi di Waymo, veicoli autonomi progettati per il trasporto di passeggeri senza l’intervento di un conducente umano; lo stesso non si può dire per la circolazione dei veicoli su suolo italiano, dove le self-driving cars ancora non sono state autorizzate.
Tuttavia, per completezza di esposizione, si rende noto che la Motorizzazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha rilasciato, nel maggio 2019, la prima autorizzazione per la sperimentazione su strada pubblica del primo veicolo self-driving in Italia. E più tardi, nel febbraio 2024, Autostrade per l’Italia ha annunciato che la sperimentazione avverrà per la prima volta su un tratto autostradale aperto alla circolazione. Tale sperimentazione si è verificata proprio nell’aprile 2025, quando è stato effettuato il primo test con un veicolo driverless in un tratto autostradale di 3 km, da
Vomero a Fuorigrotta. In quest’occasione, è stata presentata una nuova funzionalità : la Dynamic Speed Limit. Si tratta di una tecnologia grazie alla quale l’autovettura può adeguare la propria velocità alle indicazioni fornitegli dal centro di controllo del traffico, al fine di prevenire la formazione di code e di garantire una maggiore sicurezza stradale.
L’utilizzo di veicoli autonomi in Europa è vincolato allo standard SAE J3016, formulato dalla Società Ingegneri Automobilistici, la quale distingue i livelli di automazione da 0, automobili del tutto prive di automazione, a 5, veicoli ad automazione completa. È utile ricordare, ai nostri fini e allo stato dell’arte, che in Europa, l’utilizzo di veicoli a guida autonoma è generalmente limitato al livello 3, ossi ai casi di cd. guida vigile, dove quindi c’è la possibilità per il conducente di intervenire all’occorrenza. Mentre la disciplina italiana limita l’utilizzo di veicoli al livello 0, 1 e 2.
Ciononostante, ci sono paesi che si sono distinti per aver disciplinato la materia in maniera da permettere l’utilizzo di macchine a guida autonoma, tra questi si ricorda la Germania.
2. Le carenze nel panorama normativo del vecchio continente
Per quanto concerne la disciplina europea, il Parlamento dell’Unione, nella precedente Risoluzione del febbraio 2017 in materia di Norme di diritto civile sulla robotica, e nella più recente Risoluzione del gennaio 2019 in materia di Guida autonoma nei trasporti europei, osserva che l’attuale quadro normativo in materia di responsabilità ai possibili danni provocati da macchine a guida autonoma sia del tutto carente e privo della capacità di rendere delle valide risposte giuridiche alle ultime sfide che il settore dell’automotive sta presentando.
Anche a livello italiano persiste una carenza sul piano normativo. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con il decreto del 28 febbraio 2018, si limita a disciplinare le modalità attuative e gli strumenti operativi per la sperimentazione dei veicoli a guida autonoma. Successivamente, la Direttiva UE 2021/2118, recepita in Italia mediante decreto legislativo 22 novembre 2023 n. 184, ha imposto alcune importanti modifiche al Codice della Assicurazioni Private, anche con riferimento alle assicurazioni per le driverless cars.
Alla luce di quanto fin qui analizzato, è inevitabile non ricordare che nemmeno la recente modifica del Codice della Strada si è preoccupata di disciplinare la materia delle macchine a guida autonoma e, anzi, ha consolidato l’impossibilità di configurare una guida non umana. Difatti, il dettato normativo dell’articolo 46 dell’appena citato codice prevede che «[...] si intendono per veicoli tutte le macchine di qualsiasi specie, che circolano sulle strade guidate dall'uomo».
Sul fondamento di quanto fin qui spiegato è evidente che la questione sia molto complessa, soprattutto se la si considera in un’ottica futura dove è sempre più probabile, se non certo, che l’utilizzo di macchine a guida autonoma, di livello 3 e superiori, sia consentito. Ci si chiede quindi se giuridicamente sia ancora corretto, in quei casi, parlare di conducente di un veicolo a guida autonoma o, se sia più opportuno parlare di un semplice passeggero, laddove questi non abbia alcuna possibilità di condurre il veicolo.
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3. L’articolo 2054 del Codice civile
In materia di responsabilità civile, l’art. 2054 del Codice civile rubricato «circolazione di veicoli», il cui fine è quello di garantire una più sicura tutela per i terzi, deve essere coordinato con la legislazione speciale in materia di circolazione stradale, il Codice della strada.
L’articolo summenzionato delinea al primo comma una presunzione di responsabilità in capo al conducente del veicolo. Il disposto normativo prevede che conducente del veicolo «è obbligato a risarcire il danno prodotto a persona o a cosa dalla circolazione del veicolo» e l’unica modalità per vincere questa presunzione è che il guidatore dia prova di aver fatto il possibile per vincere il danno. Tuttavia, non sembra sufficiente dare prova di aver tenuto un comportamento ineccepibile, è necessario che egli fornisca prova di una causa esterna imprevedibile ed inevitabile.
Sulla base offerta dal dettato normativo è evidente che il conducente sia la persona umana che guida un veicolo. Alla luce di tutto ciò, l’applicazione della norma de qua è pacifica fino al momento in cui ci si riferisce a conducenti a guida vigile, dove questi sono in grado di prendere il controllo del veicolo qualora vi fosse la necessità .
Inoltre, il terzo comma dell’art. 2054 del già citato codice prevede un caso di responsabilità indiretta in capo al proprietario del veicolo. A quest’ultimo vengono equiparata la figura dell’usufruttuario e dell’acquirente con patto di riservato dominio. In base a quanto detto sino a questo punto, l’art. 2054 c.c. sicuramente si può applicare ai casi di responsabilità civile qualora il conducente sia alla guida di un veicolo livello 3 o inferiori, dove quindi vi sia la sua partecipazione attiva ovvero possa intervenire all’occorrenza. Per i casi, invece, in cui sia da accertare la responsabilità per le macchine a guida autonoma si potrebbe ricorrere all’articolo 2051 rubricato «danno cagionato da cose in custodia».
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4. L'apprendimento autonomo delle self-driving cars
La questione se vi possa essere una responsabilità , seppure concorrente, in capo al produttore del veicolo e, magari, anche in capo allo sviluppatore del software apre uno scenario molto complicato e assai denso di critiche. I software per i veicoli a guida autonoma si basano principalmente su due funzionalità differenti: da un lato, vi sono i dati necessari all’autovettura per comprendere l’ambiente circostante e i vari stimoli che ne derivano, ad esempio le informazioni per leggere i cartelli stradali, piuttosto che per comprendere i semafori; dall’altro, invece, vi è la capacità della macchina stessa di elaborare queste informazioni per poter prendere delle decisioni in maniera autonoma anche grazie al processo di machine learning. Attraverso di esso, i dispositivi sono in grado non solo di apprendere in maniera autonoma ma anche di migliorarsi nel tempo, grazie alle informazioni apprese con l’esperienza: dunque, in tal caso, è molto difficile anche per lo stesso programmatore, chiamato a rispondere per i danni causati dalla macchina, dare una spiegazione a quanto avvenuto.
In altre parole, considerare che il programmatore di un software possa essere chiamato a rispondere dei danni provocati da un’automobile che ha progettato ma che poi, interagendo con l’ambiente esterno, ha acquisito informazioni sulle quali non si ha il controllo, porta a non poche criticità .
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5. Responsabilità penale
Emergono nuovi dilemmi giuridici anche per quanto concerne l’area del diritto penale con particolare riguardo alla diffusione delle macchine in tutto o in parte self- driving. Il tema è molto complicato e porta con sé differenti spunti di riflessione dal punto di vista penalistico.
In primo luogo, sembra opportuno ricordare che qualora vi fossero eventi lesivi cagionati da un guidatore di automobili livello 0, 1 e 2, dove il conducente si può ancora definire tale, in quanto soggetto che in maniera attiva conduce un veicolo, allora non vi sarebbero dilemmi giuridici da sollevare e ci si riferirebbe alla più «tradizionale» disciplina dettata dal diritto penale sostanziale e processuale. Viceversa, appare molto critico ascrivere una prescrizione cautelare generica in capo al conducente di una self-driving car, dove la sua figura potrebbe essere associata più a quella di un mero passeggero, dal momento che la funzione di guida è svolta in maniera automatica e quasi esclusivamente dalla macchina. Quindi, qualora vi fosse un evento lesivo cagionato da una driverless car, la responsabilità non dovrebbe essere affidata al guidatore-passeggero ma piuttosto ai produttori nel settore dell’automotive che potrebbero essere chiamati a rispondere per i danni cagionati dal veicolo che hanno prodotto. Quest’ultimo aspetto è assai controverso se si considera la complessità del funzionamento degli algoritmi dell’intelligenza artificiale e l’opacità di questi in quanto non si è sempre in grado di dare una spiegazione alle loro azioni dal momento che le tecnologie machine learning conferiscono, come si è detto, al sistema la possibilità di apprendere dall’esperienza.
Oltre a ciò, è utile considerare che, se si ascrivesse una responsabilità in capo al fabbricante, vi sarebbe anche un disincentivo in capo a questi soggetti nella produzione di macchine con tecnologie innovative. Tuttavia, sembra vi possa essere la necessità di circoscrivere la tipicità colposa del conducente di un veicolo a guida autonoma a regole di condotte rigide, le quali sarebbero sicuramente più facili da accertare.
In base a quanto sino a questo punto esposto, è evidente che tutto ciò mette in forte discussione il sistema del diritto penale che da sempre è definito come un sistema antropocentrico: non considera solo l’individuo, in quanto soggetto attivo del reato, ma anche il comportamento di questo, il fatto che la persona abbia agito con consapevolezza e volontà nella commissione del fatto perseguito dalla legge. Per altro, è la stessa Costituzione, all’articolo 26 co.1, che afferma che «la responsabilità penale è personale». Per di più il nostro ordinamento prevede che il reato, interpretato alla luce di una concezione tripartita, sia definibile come un fatto umano tipico, antigiuridico e colpevole. Si ribadisce, quindi, la necessarietà che la responsabilità sia ascrivibile ad un individuo, il quale deve aver compiuto un illecito penale a lui riconducibile.
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6. Conclusione
Le self-driving cars sono senz’altro un’innovazione molto interessante dal punto di vista tecnologico, in quanto si tratta di autovetture del tutto autonome ma è innegabile che l’utilizzo di queste porti con sé notevoli criticità in tema di tutela dei diritti e di allocazione delle responsabilità .
Per quanto concerne l’orizzonte comunitario è lo stesso Parlamento europeo che mette in luce la carenza di una adeguata disciplina in materia. E se da un lato, paesi come la Germania, hanno adottato una disciplina generale per l’utilizzo di veicoli a guida autonoma, lo stesso non si può dire per l’Italia dove ancora, non è stato fatto alcun passo in materia, ad eccezione per l’ambito di sperimentazione di questi veicoli.
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Bibliografia
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